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FLORIDIA. “STOP AI RIFIUTI: LA PAZIENZA E’ FINITA, D’ORA IN POI, TOLLERANZA ZERO”
Dopo svariati appelli sui social, il sindaco di Floridia, Marco Carianni, accelera nella sua azione tecnica contro l’abbandono dei rifiuti. “Non avremo più alcuna tolleranza nei confronti di chi prosegue nell’abbandono delle immondizie”. Un plauso era dovuto alla Polizia Municipale, e così è stato: L’azione preventiva si era estesa anche ai territori viciniori, con grande dispendio di energie. “Nel mese di gennaio 2025 – prosegue Carianni – in seguito ai controlli svolti sul territorio dagli agenti della Polizia Municipale, sono stati denunciati penalmente cinque soggetti proprio per l’abbandono di rifiuti.
“I trasgressori sanzionati – approfondisce – sono stati individuati grazie ai dispositivi di videosorveglianza dell’Amministrazione ed obbligati anche alla rimozione dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi”. Adesso l’ulteriore stretta: “La lotta all’abbandono dei rifiuti – dice il sindaco – deve riguardare tutti i cittadini. I positivi risultati sono il frutto del lavoro della comandante della Polizia Municipale e di tutti gli agenti. Il decoro e la pulizia della città di Floridia dipendono da tutti noi e per questo occorre rispettare le regole, sensibilizzando tutti. Non siamo più disposti a tollerare determinati comportamenti nocivi sia per i residenti delle zone interessate, sia per l’ambiente”. Quindi la chiosa: “Solo se lavoreremo in modo unitario potremo davvero crescere come comunità”.
R. R.
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FLORIDIA. LA “Passio” DI LANGLOIS “UN TESTO DURO, INTENSO VERO”
disse il compianto Sebastiano Lo Monaco, durante l’indimenticabile “Bella Passione” portata in scena nel 2017
Sulle note di Antonio Granata, riecheggia ancora, una serata memorabile ricreata dallo scritto del misticoLanglois, il prete che non si spaventava di una penna.
“Rompi il tuo silenzio, dimmi chi sei”. L’incipit della possente voce di Sebastiano scuote ancora le coscienze. Recitò Langlois, il Cileno che non aveva mezzi termini nella cronaca. “Dici di avere la verità, ma che cos’è la verità? Il silenzio, la verità è lui? Nessuno ha mai parlato così. La verità? Basta con la metafisica! Basta con la mistica! Io non sono un mistico greco, non sono un poeta, sono un politico! Per questo faccio il procuratore in questo paese”. Il Sagrato di Sant’Anna si scosse. Non era aduso a testi così rivoluzionari. Il nostro grande attore, sì, da gran ricercatore qual era, qual è, ci lascia in eredità quelle vibrazioni tristemente attuali mentre soffiano, prepotenti, venti di odio, di vendetta, di sopraffazione.Guarda il video di 2minuti del 13-04-2017 “Quest’uomo è innocente – recitò commosso – ma non sa cavarsela”. L’uomo innocente, ancora lui. “Io non trovo in costui alcuna sovversione perché dovrei crocifiggerlo?”. Tentò di contrastare i ripetuti “Crocifiggilo!” della folla”. Eppure, “il suo Verbo si fece carne, carne della carneficina di Aushwitz, carne ebrea all’ingrosso, carne delle scuole elementari, carne convertibile in grasso, convertibile in silenzio degli arcipelaghi, carne della follia delle “Folies Bergère”, carne dei suicidi sui fiumi, carne dei feti abortiti per la cosmetica, carne di Gesù che muore, carne della ingegneria genetica, carne dell’infermità mentale, carne delle radiazioni atomiche, per l’immensità di Dio”.
Il largo, mesto, vibrare dell’orchestra diretta dal Maestro AntonioGranata, incornicia una serata che oltrepassa il tempo. “La via crucis – canta, recitando – ha una lunghezza esatta di 500 metri. I più lunghi della Creazione. La teoria della relatività ammutolisce di fronte a questa distanza. La croce ha un peso esatto di 70 chili. Questi 70 chili sono i più pesanti dell’Universo, che gravita intorno a questa croce: la forza con cui Gesù la abbracciò, non è esprimibile. Un lavoro cosmico non misurabile”.
Il tempo è relativo, perché quell’ascesa continua, pur se fra mille venti di fuoco. E il grande attore, si fermò, insieme allo scrivente, al maestro, esausti, dopo la serata, sotto l’arco della Chiesa e disse: “Io non so, spero, cerco, ma è troppo grande tutto questo”. Parole che serbiamo nel nostro cuore, afferrando la speranza, la ricerca, la grandezza dell’Uomo. E riflettemmo su queste parole dello scrittore cileno: “L’essere umano”, ha la dolorosa capacità di vivere senza interrogarsi sul senso della vita, e può trascorrere anni in quello stato di vuoto. Ma quando il dolore irrompe nella tua vita, allora diventa difficile sfuggire alla grande domanda sul significato del dolore. Perché non è degno dell’uomo soffrire come bestie, cioè con ruggiti e senza domande.” Il resto è ancora da scrivere. Le musiche della “Bella Passione” sono dell’amico Antonio Granata, anima della rappresentazione portata in giro per l’Italia. “Sebastiano manca, se n’è andato troppo presto – dice oggi Granata – è l’unico Pirandello che avevamo qui”.
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FLORIDIA. “THE BIG CIURIDDIA”
Il docufilm di Peppe Tata è un viaggio in un tempo non lineare, dove i momenti più belli continuano a vivere: Socialità, tradizioni, calore umano. E per la prima volta dopo tanto tempo il regista riempie piazza Umberto, svuotando internet.
Floridia la piazza piena per la prima del
“THE BIG CIURIDDIA” Immagini 2minutiNon solo calcio, quindi: il riferimento al “Grande Floridia” è una molla che Peppe coltiva da anni, alla ricerca di nodi da slegare. Il Grande Floridia – nel suo quarto capitolo – è il collante: la vincente squadra verde degli anni ‘60 e ‘70 riporta alla nostre migrazioni. Tutto attuale: la gente va e viene, così come i calciatori del passato sono venuti al sud, lasciando il nord. Una immigrazione al contrario, proprio mentre i locali cercavano fortuna a Melbourne, Hartford, Lules. A presentare il Gala, il critico cinematografico, Renato Scatà. Di fatto, tutti i protagonisti erano presenti. È stato un bagno d’immagini, compartecipazione, e, se vogliamo, rinascita dell’orgoglio floridiano. Scatà ha puntato sulla qualità di Tata, sul lavoro di una vita.
LA COPERTINA DEL DOCUFILM “THE BIG CIURIDDIA” di PEPPE TATA – Ph ROSSELLA DI PIETRO Le leggende su questo documentario riportano alla sua infanzia. “E’ la storia di un sogno – dice – in cui egli crede così tanto, sì da intraprendere un viaggio spirituale, approdando anche fisicamente al nuovo mondo, intervistandone i suoi protagonisti. Per i suoi sforzi non deve ringraziare nessuno, se non il suo team di amici e la sua volontà interiore: spostandosi dalla Sicilia in America di continuo, trova una sua dimensione in due posti, egualmente floridiani. Così vive due mondi allo stesso momento; è difficile mettersi a nudo, e dire: “io sono così”. E oggi lui rinsalda la comunità, troppo avvezza allo streaming, alla banalità dei social. Il perno di Peppe è stato il team: intercambiabile e abile nel passare da un ruolo all’altro. Dall’aiuto regista, la pregevole Rossellina Di Pietro, Marco Calafiore – curatore della fotografia e delle riprese e Peppe Forte alla fonìa. Da non tralasciare l’operato degli addetti al montaggio, particolarmente delicato per la resa metrica del film, Andrea Salibra e Giuseppe Torre. Indispensabile l’apporto della memoria storica della città, il grande Giuseppe Borgione, archivista, documentarista, cronista più d’un cronista, icona vivente della floridianità. “Mi sono scoraggiato proprio al mio arrivo in America, ma i miei amici mi han subito rincuorato, malgrado alcuni eventi negativi: alla fine ci siamo riusciti, seppur dopo troppo tempo, perché l’ho prodotto con i miei sacrifici: in America mi hanno insegnato a chiamare “mamma“ il mio paese. E il film non è altro che l’educazione sentimentale di un floridiano che non si sente più tale, ma che, attraverso il Floridia calcio e gli emigranti, s’immerge nell’essenza di Xiridia. La cosa più importante è questa, noi siamo figli di questa mamma Floridia, in qualsiasi angolo possiamo ritrovarci”. Romanticismo? Sì, lo snodarsi delle immagini è candido, poetico, chiaroscurale. Il film si apre con le immagini dall’alto di Floridia e la dedica a un suo figlio di eccellenza, Tano Di Stefano, l’aiuto dei migranti. La scena converge sulla terra, l’agro, l’ulivo, gli odori e i rumori delle campagne, le zappe che scavano dentro come argentei rintocchi della campana della Matrice. Poi le “interviews” agli emigrati albanesi, ucraini, rumeni. C’è un mondo nel mondo a Floridia. Da sempre. “La Sicilia non la cambierei con nulla” dice una delle intervistate dell’Europa dell’est. Quell’est che non divide, ma unisce, e che “ti fa sentire estranei in patria”. Già. Perché Tata ritiene che i veri floridiani siano quelli che tanti anni addietro lasciarono il paese per rifarsi una vita, un futuro migliore. Le famiglie floridiane sono sparse tra Melbourne e Hartford, passando per Lules, in Argentina, dove l’ottanta per cento è floridiano. E nessuno lo sapeva: Giuliano, Bazzano, Ierna, Forrmica, sono cognomi floridiani che compaiono in quelle lande. E Peppe viaggia, come un cercatore affamato si getta a capofitto sulla minestra di San Giuseppe, su quel calore vero di migranti rimasti “ciurdiani”. Il “Di cu si figghiu” basta. Non serve il cognome ma “l’ingiuria”, come “Pizzicanninu”, soprannome del padre. Ma la Floridia dei migranti vive ancora. Qui sta la contemporaneità espressa da Tata. Il grande squadrone dalla maglia Verde connette questi uomini indimenticati, che rendono grande il paese, lo rendono “Big”. Scorrono i titoli dei giornali d’epoca “Floridia in Festa”, le corse ciclistiche lungo il Corso, i finali in bianco e nero. Eppoi gli scontri sportivi con la vicina Siracusa: il floridiano vero tiene alla propria identità. Non c’è una spiegazione, malgrado la vicinanza fisica. Sono due cose differenti, vicine, sì, ma non sovrapponibili. E viaggia a incontrare i vecchi calciatori: chiede di Cacciavillani. “El Chico”. Lo fa per quei calciatori che sono rientrati a casa, al nord. Ma che, anch’essi, sono rimasti floridiani. Ieri sera erano qui per questo motivo. I racconti del dottor Rizza, allora nella dirigenza del Floridia Calcio, fanno luce sulle vicende meno note. Illuminante le sintesi di Egidio Ortisi: “E chi ne sapeva nulla di schemi e tattiche, allora? Le portò Cacciavillani”. Lo ricorda anche il professor Greco: “Con grande abnegazione, lui allenava questi ragazzi sia dal punto di vista atletico, sia dal punto di vista tattico”. C’era solidarietà fra la gente, ci si divertiva con poco e si amava molto. “I Balateddi, le cose semplici, i primi innamoramenti, gl’incontri, il rispetto fra i giovani” ricordano, infatti, i protagonisti. Mitico anche l’amico di tutti, Osvaldo Gobbi, tra i primi approdati e rimasti qui. “Presi l’enciclopedia per capire dove sarei finito – ricorda – salii sul treno e rimasi qui”. Ai nuovi arrivati di quegli anni sembrava un paese messicano. Pulito, candido, coi carretti fuori dalle case e gli animali in casa. “Alla domenica In tenuta sportiva – rammenta Greco – Cacciavillani in testa, insieme ai giocatori elegantemente vestiti, si appostava ai “quattrocanti” di Sant’Anna, cuore della città, al bar Lo Giudice: “Mi raccumannu, oggi ‘a fari u gol” si sentivano apostrofare benevolmente. Un’altra memoria del cuore è il signor Manzella, tifoso da sempre, “usato” da Tata per ricamare una trama dal fine ordito d’anima. I derby col Siracusa? Davide contro Golia. Una metafora che riempiva la vecchia statale 114 in un continuum brulicante di macchine che proveniva dal capoluogo. 12 km di fila. Vinse il campionato e andò in America. L’America in aereo. Qui c’è una cesura storica ancora aperta, genesi di discussioni fra le tante Floridie. Su quel DC8, da Fontanarossa, la squadra s’imbarcò per incontrare l’East degli States. Si preparavano pranzi e danze dappertutto, nell’America. Boston Tiger, Philadelfia. Ma il derby vero fu con gli Italiani American Stars. Avrebbe dovuto essere un’amichevole, disse l’arbitro Di Pietro. Non fu così. Il Floridia andò sotto, poi un rigore negato, uno assegnato, infuocarono gli animi. SI arrivò alle mani. Ma il match infuocato fu egualmente risolto dai Verdi. Tre a due, fuori casa. “Il compito della vostra tournée – rammenta Greco le parole dell’allora presidente Paolo Privitera – Voi portate il sentimento più espressivo della nostra terra, quel legame spirituale che ci accomuna sotto gli stessi colori. Grazie per questi attimi di felicità: la vostra impresa resterà scolpita nei cuori; ma siamo noi a dover ringraziare che si ricorda delle nostre radici”. I nomi da ricordare sono tanti, e, probabilmente, su qualcuno dovremo tornare: dagli indimenticabili Pippo Burgio ed Enzo Santacroce, testimoni di quegli anni d’oro.
“E io dico grazie d’esistere – narra Tata – perché nei loro sguardi riscopro il mio paese”. Floridia migrante era una città perfetta, dicono i testimoni del tempo. Ma è sempre Floridia, un arpeggio di emozioni, una città che non ne trovi uguale una neppure a cercarla nel resto dell’Italia dei comuni. “E ora so, alla fine del mio lungo peregrinare, che il mio paese è Floridia” chiosa il regista, fra i gladiatori in festa, i ragazzi verdi tornati a casa.
Importante la presenza del signor Zappalà, di Lules, dove sarà proiettato il docufilm in quel paese fatto per l’80 per cento da floridiani. Al termine, inevitabili i ringraziamenti a Gaetano Indomenico e Nino Giarratana, incarnazione dell’american dream. Ma anche a Paul Pirrotta, all’associazione Pulisena,. “Senza loro il documentario non sarebbe stato possibile, ché esiste il sogno americano, e io l’ho visto grazie a loro: vuoi fare? Fai!”. E anche questo è coraggio voglia di gettare il cuore oltre ogni ostacolo, poesia. È Floridia.
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MESSINA. IL LIGA RIEMPIE IL SAN FILIPPO E CONTINUERA’ A FAR VIAGGIARE IN PRIMA LINEA
Il Liga nazionale, reggiano, tricolore, cronista, rude della Bassa, empatico della transgenrazione, istrionico eppure sincero ha scaldato il San Filippo di Messina. Propone i suoi nuovi versi sotto la Luna rossa dello Stretto. I ragazzi sono con lui, e non solo. È parte del nostro made in Italy, si racconta e fa cronaca. Non ha perso le parole, e mette i brividi. È sempre in la minore? Ma no. Inossidabile, fra cosce e zanzare, dipinge la Bassa, ma questa è la sua vita. Un:esistenza condivisa, dove non c’è spazio per arrendersi, ma solo per andare avanti, fotografandosi, anche in mezzo alle ombre allungate dentro la sera dell’essere. Il singer di Correggio c’è, lascia un segno. E le parole che la gente ha dentro, quelle, le canta, roco e dolce, ironico e animico. Che poi, basta un buona linea di basso su cui adagiare il sogno. Ché a quello non si rinuncia. Il volto buono del vicino di casa. Magari ad alto volume, per dire che non tutto è scritto, non tutto è finzione. Bastano
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FERLA. È LO “SCONTRO”, BICENTENARIA (QUASI) TRADIZIONE IBLEA
Oggi è il pienone di turisti da ogni parte del mondo. In questo angolo di Pantalica si rinnova la speranza, per credenti e laici. L’incontro, commovente, fra Madre e Figlio è metafora di vita, rilancio emozionale.
E la Valle riecheggia di pace, per migranti che tornano, ogni anno, nella propria terra, a rinsaldare le proprie radici, trasmettendo un messaggio di armonia.
Ndr.Lodevole l’impegno dei volontari della Misericordia, che hanno sempre gestito con abnegazione i propri compiti. Impeccabili, come al solito, i militi dell’Arma e delle autorità locali.2minutes, 2minutinotizie, fede, incontro madre figlio, la valle riecheggia di pace, migranti che tornano nella loro terra, militari dell’arma, Misericordia Di Ferla, pace, pantalica, pasqua 2019, patrimonio dell’umanità, si rinnova la speranza per credenti e laici, tradizione iblea, turisti, uscontrù -
L’INDIFFERENZA…
Alla stazione.
Si dorme davanti a lavoratori indifferenti.
Il tempo è tiranno.
Non ci accorgiamo.
Sentiamo freddo e fretta.
Freddo e fretta. Lui, no.
Continua a dormire: deve recuperare sonno.
E domenica c’è l’ora legale.
Anche lei, indifferente -
SIRACUSA. “NON IMPORTA LA LOCALITÀ E NEMMENO L’UTENTE. COLPISCE, INVECE LA FANTASIA”
Già. Perché è sempre tempo di “Ladri di biciclette”, anche quando son vecchie”.
Da oggi variamo un nuovo modo di comunicare, condividendo immagini, attimi. Già. Perché tutto quello che c’era da dire è stato da tempo già detto… e previsto.E se è pur vero che “repetita iuvant”, è altrettanto vero che ripetere le stesse miserevoli cose del nostro Paese è mortificante, cronisticamente parlando. E di veline ce ne son sempre più. Allora facciamo finta che.. non parli più nessuno. Tanto, ormai, zio Mark non vuole, con i suoi intelligenti algoritmi. Finché ci sarà permesso dal sistema, facciamo parlare le foto curiose. Ognuno tragga le proprie conclusioni, a prescindere dal colore politico, dalle appartenenze, dagli steccati che l’uomo continua a costruire.h
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ASSEGNATI ALLA NAVE “SEA WATCH 3” UN PUNTO DI FONDA A 2 KM DA SIRACUSA
Così la capitaneria di Porto, poco fa, riassumeva il cammino della nave su cui tante polemiche, in questo momento, fervono. “Nella mattinata dello scorso 19 gennaio – ricordano al comando – la nave Sea Watch 3 procedeva al soccorso, in area SAR (acronimo di search and rescue) di responsabilità libica, di 47 migranti su un’unità in difficoltà.
Fonte: https://sea-watch.org/it/#https://sea-watch.org/it/%23!/missione Terminate le operazioni di soccorso, senza il coordinamento dell’autorità SAR competente, l’unità, a causa delle condizioni metereologiche in peggioramento, inizialmente procedeva nella navigazione verso Lampedusa e successivamente verso la Sicilia orientale per trovare riparo. L’unità – rileva – a causa delle condizioni meteo avverse, è entrata nelle acque territoriali italiane e alla stessa è stato assegnato un punto di fonda al largo delle coste di Siracusa (a 1 miglio -2 km – a Nord di Punta Magnisi), per garantire la sicurezza dell’unità e delle persone a bordo”. Sul posto presenti le motovedette della Guardia Costiera e della Guardia di Finanza.
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FERRARA. RAGAZZINO TRAVOLTO DA UN TRENO: “TENEVA IL CELLULARE IN MANO”
Fonte: immagine di Emanuele Galfo per 2minuti notizie Dramma sul binario 3 della Stazione centrale: un ragazzino, all’incirca di 15 anni è stato travolto da un treno in frenata. “Il conducente si era accorto in tempo – ha detto il nostro testimone, Emanuele Galfo -. Io sono riuscito a vederlo mentre teneva il suo cellulare in mano. Non so cosa stesse facendo e nessuno può ipotizzarlo, al momento: sta di fatto che il treno in transito ha suonato l’emergenza, accorgendosi del ragazzino, preso quasi in pieno”. I soccorsi sono partiti subito mentre gli astanti erano nel panico. “Nessuno si capacita di come potesse essere arrivato lì – dice Galfo – riuscendo ad oltrepassare la linea gialla di pericolo senza essere notato”. Adesso c’è ansia per la sorte del giovanissimo. Una storia analoga a quella accaduta lo scorso ottobre sulla stessa area. Saranno gli inquirenti e le telecamere di sorveglianza ad approfondire questi importanti dettagli. Nel frattempo “speriamo per le condizioni del giovane”.
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FLORIDIA. ANDREA RAPAGLIÀ, “QUANDO LA BANDA PASSÒ”, FU SUBITO AMORE PER LA TROMBA. INIZIAI COL MAESTRO”. RITRATTO
Il ricordo di una carriera costruita sulle basi del maestro Latina.
Una storia semplice, vera, naturale, quella di Andrea. Un semplice passaggio della banda musicale, da piccolo, e la scintilla per gli ottoni, la tromba, il flicorno, scocca inesorabilmente.
Poi gli studi con il celeberrimo maestro Maurice André (ritenuto il più grande trombettista classico), a dare la svolta professionale. E un’altra floridianità spicca il volo verso lidi internazionali. Il nostro Andrea ha avuto grandi maestri, ma la tenacia e la costanza non gli è mai venuta meno. In ambito classico la sua ricerca del suono e le ricercate dinamiche sono la conseguenza di un duro lavoro di perfezionamento. Certamente occorre una buona predisposizione naturale.La Banda dell’Esercito in una delle sue uscite. Rapaglià rammenta come Maurice André non facesse lezioni private, ma soltanto corsi annuali a Zurigo: “Ricordo che superai una selezione – racconta – e fui subito ammesso al corso”. La tromba e la sua setosità, con le sue impuntature sugli estremi acuti, lo hanno immediatamente “rapito”, consentendogli di approdare agli strumenti della stessa famiglia con disinvoltura artistica nella banda musicale dell’esercito. “Non ho voluto sentir parlare di altri strumenti, sebbene le trombe fossero già in maggioranza negli organici di un’orchestra”. E a questo punto il musicista ricorda con affetto il maestro Latina, con il quale ha iniziato a suonare: “Egli mi ha dato le basi sulle quali ho costruito tutta la mia carriera. La possibilità di continuare a far ciò che mi è sempre piaciuto, dopo aver superato il Conservatorio, si è manifestata nella banda della Polizia. Anche in questo caso ho superato le selezioni, e lì sono rimasto cinque anni e mezzo. Un periodo ricco di soddisfazioni, dalle collaborazioni con il Santa Cecilia alla conoscenza di artisti come il direttore Georges Pretre (anch’egli trombettista, scomparso pochi giorni fa), e l’aver suonato nel suo enorme organico per la Messa di Berlioz”. Il percorso professionale, a 40 anni, è delineato: “Mi reputo un amante della musica – chiosa – e le esperienze umane e di ricerca rimangono essenziali. A fine gennaio eseguiremo “Apocalypse”, opera composta dal maestro Marcello Panni, al Parco della Musica”. Personalità e talento, quelle di Andrea, in grado di brillare nel tempo.
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